il faggio
IL FAGGIO
l’albero simbolo della montagna appenninica
le piante della montagna-2
Il bosco dominante dell’Appennino è la faggeta. É nel bosco di faggio ( Fagus sylvatica L. ), tra le quinte grigio argentee dei fusti che chiudono ogni orizzonte e la frusciante lettiera brunita di foglie, in cui si procede liberi dall’intralcio del sottobosco, che la montagna inizia veramente a rivelarsi. La faggeta raccorda e nel contempo divide l’alta montagna dei pascoli, delle rocce e dei prati sommitali dalle alture sottostanti, a quota inferiore, caratterizzate dai boschi di quercia, carpino, frassino e castagno del piano collinare. Mondi diversi, più temperati e luminosi i secondi, severi, umbratili e brumosi i primi. Nella dorsale appenninica la faggeta appartiene al piano montano, compreso generalmente tra i 900-1000 metri e i 1700-1800 metri di quota. Sul versante adriatico delle nostre montagne, però, più umido, specialmente nelle vallette più riparate e chiuse, ombreggiate e fresche, la faggeta può scendere fino addirittura ai 700 – 600 metri di quota. Lo si può osservare sui Sibillini orientali, ad esempio nel bosco che circonda il convento di San Liberato, oppure nella valle della Scurosa, sul monte Pennino e in molti altri siti. Alle quote del piano montano il faggio trova il clima che gli è più confacente, di tipo temperato oceanico (bioclima mesotemperato), ad elevata piovosità annuale, con valori tra i 1300 e i 1700 mm, ben distribuita in tutto l’arco stagionale. La faggeta è monospecifica. Al faggio si accompagna solo il tasso (Taxus baccata) e in rari siti l’abete bianco (Abies alba). È il tipo di vegetazione che più richiama l’antica foresta che ammantava le montagne appenniniche, per l’aspetto imponente delle fustaie e, in estate, per l’ambiente fresco e ombroso che dona a chi vi entra. Le faggete europee sono il frutto di una vasta ricolonizzazione iniziata con la fine dell’ultima era glaciale. Durante il Pleistocene l’estendersi degli ambienti glaciali in tutta l’Europa ridusse gli areali del faggio a poche stazioni circummediterranee, aree rifugio in cui il faggio occidentale riuscì a sopravvivere, come in Italia meridionale e nelle Alpi orientali (es: Slovenia, Riserva naturale della foresta primaria di Krokar) da cui nell’Olocene la specie riprese a diffondersi e ricolonizzando tutta l’Europa. Nei periodi più umidi dell’Olocene la foresta di faggio si estendeva ininterrotta dal livello del mare nel Mediterraneo, fino alla penisola scandinava. Oggi il limite altitudinale superiore di diffusione del Faggio va dal livello del mare in Scandinavia fino ai 2.250 m sul livello del mare in Sicilia.
La distribuzione della specie attuale è stata, però, in gran parte condizionata dall’interazione con le attività umane. La faggeta da sempre è stata intensamente modificata dall’uomo, direttamente attraverso il taglio, l’incendio e lo sfruttamento per il pascolo, o indirettamente per il modificarsi delle condizioni ambientali. Oggi è proprio il cambiamento climatico in atto, con l’aumento di temperature ed aridità, specialmente sulle montagne Mediterranee, il rischio maggiore per la futura sopravvivenza delle faggete montane, specialmente sugli Appennini.
Anche il limite superiore della faggeta non è quasi mai quello naturale. Nel tempo esso è regredito e si è abbassato di altitudine per l’espansione artificiale dei pascoli a causa dell’incremento dell’allevamento ovino transumante. Lo testimoniano i faggi isolati o a piccoli gruppi che si rinvengono frequentemente ben al di sopra del limite attuale del bosco, sui versanti di molti rilievi. Il limite inferiore, invece, è stato variamente eroso per l’espansione verso l’alto dei coltivi. Un processo storicamente continuo, particolarmente accentuato a partire dal XVIII secolo per l’incremento della mezzadria. L’ultima fase è stata la deleteria battaglia del grano promulgata dal fascismo, che incentivò anche in montagna la semina dei cereali fino a quote assurde, con produttività irrisorie, ma con danni perenni alla fertilità dei sottili suoli montani e un forte incremento del disboscamento. La gran parte delle faggete nelle nostre montagne sono state ridotte a ceduo per la produzione di legna da ardere e carbone di legna. Percorrendo le faggete dei Sibillini o di altre montagne appenniniche ancora si riconoscono, nel bosco, le numerosissime le piazzole delle carbonaie. Osservando le vecchie fotografie degli anni a cavallo dei due ultimi conflitti mondiali si nota la quasi totale scomparsa di gran parte dei boschi dell’area montana, per tagli sempre più frequenti e radicali.. Tutto ciò accentuò e aggravò gli effetti dell’erosione dei versanti, inducendo gravi dissesti alluvionali in gran parte dell’Appennino che a guerra finita si cercarono di contrastare con estesi rimboschimenti artificiali a conifere (per lo più Pino nero). Gli esemplari che oggi , in montagna, appaiono i più maestosi e imponenti sono gli alberi risparmiati a suo tempo dal taglio per la loro funzione di matricine, necessarie per il rinnovo da seme. Spiccano inoltre per maestosità quelli isolati, dalle ampie chiome, posti generalmente al margine dei pascoli, che sono sopravvissuti perché destinati a riparo del bestiame in estate come “meriggie”. I grandi faggi che oggi attirano centinaia di turisti, specie in autunno per il loro policromo fogliame, sull’altopiano di Canfaito, ne sono un ottimo esempio. La ripresa del bosco dal dopoguerra ad oggi è stata più una conseguenza dello spopolamento della montagna e dell’uso dei combustibili fossili (metano) per gli usi domestici e industriali, che hanno fatto crollare la domanda di legna, che di un’accorta politica ecologica e forestale. Infatti questa espansione delle superfici boschive è stata poco o affatto governata e si è persa l’occasione per un’efficace conversione dei cedui in alto fusto, utile sia di migliorare le caratteristiche ecologiche, che la protezione idrogeologica e migliori qualità produttive.
Anche il suo nome testimonia dello stretto rapporto con l’uomo. Il nome latino fagus, che deriva dal greco (φαγός) fagós appare affine a φαγεῖν (phagein: mangiare),similmente all’inglese beech e al tedesco buche che rimandano alla comune radice indo-europea bhak-šati = mangiare. Come altre specie della famiglia delle fagaceae , che comprende alberi insostituibili per l’alimentazione umana come il castagno e diverse specie di querce, anche le faggiole, i frutti del faggio, sono state fondamentali, in passato, per l’alimentazione degli animali allevati, ma anche per l’uomo stesso, specialmente in periodi di penuria. La grande utilità del faggio sta però nel suo legno; nelle nostre montagne è stato intensamente sfruttato per la produzione del carbone, ma i tronchi delle fustaie forniscono ottimo legname d’opera. Come si è detto, però, il taglio indiscriminato è stato la causa principale dell’esteso degrado dei nostri boschi, ridotti a cedui fortemente impoveriti.
Il faggio occidentale ( Fagus sylvatica L. ) è un albero che raggiunge mediamente i quaranta metri d’altezza e il diametro del tronco il metro e mezzo. Può vivere per almeno 200 anni, ma in alcune foreste appenniniche meno alterate dall’azione umana, denominate “vetuste”, come al Pollino, sui monti del parco nazionale d’Abruzzo e nelle Foreste Casentinesi, gli studi dendrocronologici hanno rilevato la presenza di individui di età variabile tra i 400 e i 600 anni di vita: veri e propri monumenti vegetali che hanno registrato le vicende ambientali e climatiche degli ultimi secoli.
Fagaceae Fagus sylvatica L. FORMA BIOLOGICA scap - Fanerofite arboree. Piante legnose con portamento arboreo. TIPO COROLOGICO Centroeuropeo. - Europa temperata dalla Francia all'Ucraina. Europ. - Areale europeo. Pianta vascolare con fiori e semi (Angiospermae). Le foglie sonoovali, più chiare nella pagina inferiore, brevemente picciolate,disposte sul ramo in modo alterno, lucide su entrambe le facce, con margine ondulato, ciliato da giovani.Il frutto composto consiste in una cupola ovoide legnosa (faggiola) di 2-3 cm, verde o castana, con 4-5 valve munite di piccoli aculei incurvati o patenti, che ricopre 1-2 acheni trigoni, con angoli acuti, di colore castano brillante.